“Genius”, pellicola del 2016 diretta da Michael Grandage, narra l’ascesa come scrittore di Thomas Wolfe (Jude Law), autore novecentesco importante per la sua scrittura moderna e poetica, dopo aver conosciuto Maxwell Perkins (Colin Firth), il curatore editoriale che scoprì autori come Fitzgerald e Hemingway. I due protagonisti sviluppano un rapporto quasi simbiotico che, da un lato porterà alla pubblicazione di importanti romanzi come “Angelo, guarda il passato” o “Il fiume e il tempo”, ma che dall’altro cambierà per sempre le loro vite.
Max, a differenza degli altri editori, riesce fin dall’inizio a scorgere il talento di Tom e ci scommette in modo vincente, seppur entrambi siano molto diversi. Thomas è una tipica personalità romantica: un poeta passionale costantemente in conflitto e coinvolto nelle storie che scrive, con una smisurata fiducia verso il prossimo. Si definisce “eccentrico, troppo chiassoso ed esagerato”… ma capace di soffrire come ogni essere umano. Secondo Aline Bernstein, sua moglie (Nicole Kidman), egli ha la capacità di saper far vivere le persone al massimo. Riuscirà a fare così anche con Maxwell, che è l’esatto opposto: una persona pacata, ma non fredda, e con un atteggiamento sempre molto trattenuto. Il primo scrive migliaia di pagine e si dilunga in chilometriche descrizioni di ogni persona o sensazione, il secondo preferisce sempre tagliare e sintetizzare. Il suo modo di fare, che si contrappone a quello esuberante di Wolfe, è uno dei motivi per cui è difficile empatizzare con lui o essere particolarmente coinvolti nel corso della storia.
Questa leggerezza caratterizza anche l’intera trama, che non riesce ad andare oltre l’ordinario, quando al contrario le fragilità dei personaggi sarebbero potute essere approfondite maggiormente. Il suo snodo è il tema topico del lavoro che porta le persone a trascurare le proprie famiglie e del successo che le trasforma in peggio. Carico di aspettative da parte dei lettori dopo il successo del primo libro, Thomas è particolarmente preso dalla scrittura del secondo, cosa che lo porta a passare la maggior parte del tempo con Max e a trascurare Aline, che ne è ingelosita e infastidita. La medesima cosa avviene dall’altra parte: Max trascorre tutto il tempo con Tom e non ne dedica alle cinque figlie e alla moglie, le quali ne sentono la mancanza. Tutto ciò è reso in modo troppo tenue: non si arriva mai ad un momento di pathos o emozione forte, ogni discussione o dialogo non riesce mai a lasciare qualcosa (tranne in qualche momento della parte finale). A questo tema si lega indubbiamente la miglior scena del film, in cui Aline, salvata all’ultimo da Tom, tenta di uccidersi ingerendo tantissime pasticche: ciò è la dimostrazione del punto in cui il protagonista è arrivato a trascurare la moglie (tanto da non andare alla prima del suo spettacolo), ma anche di quanto il suo fascino fosse letale. Seppur questa narrazione non sia difettosa, la sua staticità non rende il film memorabile.
Nonostante questo, per chi sogna di diventare scrittore, la pellicola si dimostra essere un importante esempio: con grande maestria infatti mostra il processo creativo che c’è stato dietro a importanti romanzi della letteratura mondiale, sin dal tormentato periodo della scrittura, fino a quello faticosissimo della pubblicazione (il tutto esclusivamente con carta e macchina da scrivere, senza il computer), facendone trasparire tutto il fascino. Altri aspetti non tanto positivi risultano essere la fotografia e la colonna sonora, la quale contribuisce a rendere il film piatto. L’uso di una palette di colori molto grigiastra fa percepire allo spettatore la sensazione di guardare non un film, ma un documentario, e non riesce a rappresentare la sfarzosità dell’edonistica New York degli anni ‘20. Fortunatamente, Jude Law riesce a ravvivare tutto con la sua interpretazione, sempre molto impattante e caratteristica, recentemente onorata, dopo anni di carriera, con una stella sulla Walk of Fame di Hollywood.