16 Gennaio 2025
Il resto è ruggine_6 _copertina
di BEATRICE FRAZZI - Due serate da tutto esaurito, ma soprattutto due serate di emozioni, passioni e riflessioni: la compagnia "La Casta D." ha portato sul palco del Teatro Monteverdi un'efficace trasposizione del romanzo di Rosa Ventrella "Benedetto sia il padre". Una piéce per parlare di violenza nei confronti delle donne e, per contro, dell'amore, del rispetto e della fiducia che non dovrebbero mai mancare nei rapporti di coppia. (foto di Vanessa De Lorenzis)

Basta una lacrima d’amore per riempire il deserto e farci il mare, poiché un piccolo gesto vale più di mille parole. Frase toccante e intrisa di una verità che spesso la nostra società ci porta a pensare come utopica. L’amore genuino, profondo e autentico è in grado di ammorbidire qualsiasi cuore e accendere ogni sorriso, così come quello malato è capace di spegnere uno sguardo e rovinare ogni viso. Il 15 novembre alle ore 21 è andata in scena la replica dello spettacolo teatrale “Il resto è ruggine”, portato sul palco del teatro Monteverdi di Cremona dalla compagnia teatrale “La Casta D.”, una pièce rivolta alla sensibilizzazione sul tema della violenza di genere.



Voci tonanti e impetuose di uomini iracondi, quelle di donne arrese al proprio vile destino e di cantori e narratori impavidi e ricchi di spirito: la storia si basa sul famoso libro “Benedetto sia il padre” (esclamazione ripetuta più volte all’interno della messa in scena) della scrittrice cremonese Rosa Ventrella (presente in sala e omaggiata da un lungo applauso finale della platea), che narra di una piccola famiglia del barese alle prese con una vita difficile, nella quale il marito, uomo burbero e autoritario, riversa sulle sue donne (la moglie Agata e la figlioletta Rosa) ogni sua frustrazione, insicurezza o mancanza, aprendo nel loro animo una voragine di timore, ribrezzo e sconforto che niente e nessuno può sigillare. Lo spettacolo è un susseguirsi di brevi scene interpretate da due o tre attori alla volta, nelle quali è racchiuso tutto il pathos della vicenda. Un ruolo, in alcuni casi, è stato messo in scena da diversi interpreti nei diversi momenti della rappresentazione e questo ha permesso agli spettatori di vedere uno stesso personaggio interpretato con sentimento e spirito differente, come ad esempio quello del capofamiglia, visto sul palco in giovane età e in età adulta. Il pubblico e la critica ritengono che la disposizione scenica e i dialoghi siano stati efficaci e d’impatto, poiché hanno permesso di capire a pieno la vita della protagonista e quella delle persone che hanno fatto parte della sua vicenda, ma soprattutto di delinearne gli aspetti caratteristici, quasi come se avessero tentato di far percepire la loro storia come la storia di tutto il pubblico. 

Non solo le parole, ma anche i gesti forti e toccanti sono stati in grado di aprire il cuore della platea, che ha avuto l’opportunità di sentirsi per qualche attimo come Rosè (come la protagonista era chiamata abitualmente dai familiari), un piccolo scrigno infranto, oppure come Rose (come soprannominata dall’amica Marilyn), una voce che pur flebile riesce a raccontarsi, ma soprattutto come Rosa, il suo vero io, una ragazzina dolce alla quale è stata presentata l’amarezza della vita fin da quando ne ha memoria. 

Quella di Rosa è una vita dominata da continui interrogativi, una vita nella quale lei cerca di trovare un senso alla violenza domestica che i suoi occhi gonfi di rammarico sono costretti a vedere ogni giorno, senza trovarne ragione. Nonostante la delusione le colmi l’anima, ha sempre una parola di conforto per la madre, donna a cui è stato tolto il diritto di essere tale, a causa del tentativo (riuscito) di farla sentire una nullità, inflittole da un uomo più piccolo di tutti gli insulti e schiaffi che si è sentito in diritto o dovere di dare. 

Quando si siede di fianco a Marilyn, sua unica amica, prostituta dal trascorso difficile conosciuta in tutta Bari, Rose sente come se il mare in tempesta che le smuove e confonde il cuore venisse attraversato da una piccola barca a vela, che non ha alcun timore di affrontare la confusione delle onde, poiché sembra quasi esserci abituata. Si sente capita e vede che la sua non è solo una voce infantile, ma qualcosa che vale la pena ascoltare, in grado di fare rumore. Una volta cresciuta Rosa troverà l’amore, che pensava essere una boccata d’aria fresca dagli scenari a cui aveva assistito fin da piccola, ma (come ogni uomo della sua vita) anche il futuro marito la farà sentire inferiore, di troppo, e riuscirà a convincerla che forse quella era davvero “la legge del quartiere”, dove amare è visto come una debolezza e sopraffare l’altro come la più grande virtù. 

La donna ha sempre dovuto alzare la voce per farsi considerare, cambiare per farsi apprezzare, negarsi pur di non apparire e subire per farsi amare. Molto spesso nemmeno si bada a quanto gli atteggiamenti di un uomo possano far sentire piccola una donna fino a che gli occhi le si spengono e lo sguardo diviene muto, improvvisamente, trascinando con sé le parole o i gesti che le divorano l’animo, come fosse divenuta un corpo, soltanto un corpo, privo di ciò che lo rendeva diverso da mille altri: un’identità. La vita è una tragedia per chi ha il cuore.