Il festival musicale Milano I-Days come ogni anno non si smentisce e porta sul suo palco alcune tra le più importanti personalità del panorama musicale. Il metallo pesante ha aperto questa edizione con i Metallica, seguiti dal ritorno sul palco di Lana del Rey, ma non mancano il rap e l’hip hop grazie a Tedua e Doja Cat. Poi ancora metal con i Bring Me The Horizon e il revival punk con Sum 41 e Avril Lavigne.
E il 16 giugno all’Ippodromo SNAI La Maura torna una delle band pop-punk più amate di sempre, i Green Day, una formazione che è sempre riuscita a rinnovarsi e maturare pur mantenendo intatta la propria anima punk fatta di tanti power-chords e testi con messaggi chiari e immediati. L’ultimo album del gruppo californiano, Saviors, è uscito a gennaio, ma ciò che rende speciale questo tour mondiale sono due importanti ricorrenze che la band festeggerà con i suoi fan: il trentesimo anniversario di Dookie e il ventesimo di American Idiot.
Facciamo allora qualche passo indietro nel tempo per scoprire cos’ha reso questa band così popolare e cosa rende speciali questi due album.
Nel 1986, nel sobborgo californiano di Rodeo, Billie Joe Armstrong, cantante e chitarrista, e il bassista Mike Dirnt, fondano la loro prima band, gli Sweet Children, che dopo la proposta da parte di un’etichetta indipendente per un primo Ep, cambia nome in Green Day, un’espressione slang che indica un’intera giornata a fumare cannabis, uno dei passatempi di Billie Joe e Mike. Kerplunk del 1992 è il primo album con i membri definitivi della band, ovvero il batterista Trè Cool, e l’ultimo con un’etichetta indipendente. Con questo disco, dalle sonorità maggiormente pop, le major iniziano infatti a tenere d’occhio la band, che dopo poco viene scritturata dalla Resprise Records, parte della Warner Music Group.
E così nel 1994 esce Dookie: anche se dopo l’abbandono dell’etichetta indipendente la scena punk volta le spalle alla band, questo non impedirà all’album di vedere oltre dieci milioni copie, consacrandola a livello internazionale. L’effetto di Dookie è esplosivo. In una scena musicale dominata dal grunge dei Nirvana e dei Pearl Jam i Green Day riportano alla ribalta il punk. Le sonorità della band diventano più pulite rispetto alle precedenti pubblicazioni e i testi diventano inni generazionali: da Longview a Welcome To Paradise, fino ad arrivare a Basket Case, in cui si parla di attacchi di panico e salute mentale e il cui video ha invaso Mtv alla sua uscita.
Ma come è stato vissuto dagli adolescenti di allora questo boom del pop punk dei Green Day? L’abbiamo chiesto a Carmine Caletti, esperto musicale cremonese e autore della rassegna The Great Rock’N’Roll Sinners. Sette viaggi serali tra miti e diavoli tentatori del rock, oltre che segretario dell’Associazione Cremonapalloza: “Ai tempi noi adolescenti degli anni ’90 ragionavamo per grandi separazioni di gusto musicale, di attitudine verso la musica, di vestiario, per cui tendevamo, con l’ingenuità che è propria della gioventù, a dividere le persone in sottoculture. In quel momento eravamo intransigenti, percepivamo i Green Day come una cosa annacquata, una cosa per il pubblico pop, per i grandi numeri: i video dei Green Day venivano trasmessi su Mtv e già questo dava la sensazione del successo”.
È il 2004 e la musica rock in voga verte sempre di più sul rap metal e sul nu metal. La band californiana nei suoi primi dieci anni ha sperimentato ed è maturata, fino all’uscita dell’album più iconico della band californiana, American Idiot. “Nel 2004 stavo frequentando l’università e, gusti o non gusti, American Idiot era evidentemente un album spettacolare”, ci racconta ancora Carmine Caletti, “Già il fatto che fosse un concept album punk rock era una contraddizione in termini molto interessante. Se c’è un genere in cui fare un album che racconta tutta una storia, in cui le canzoni sono legate una all’altra, questo genere non è proprio il punk rock, che disprezzava cose come i concept album, considerata una roba da rock intellettuale”.
Da American Idiot ad oggi la band ha continuato a sfornare album, tra cui 21st Century Breakdown del 2009 e Revolution Radio del 2016 oltre alla trilogia UNO! DOS! TRE’! del 2012. Ma quanto i Green Day hanno influenzato il genere punk? “Io credo che i Green Day abbiano influito sui loro successori clamorosamente. Con questa sensibilità per la melodia, il fatto di suonare bene i pezzi, di avere una sonorità mai troppo aggressiva ma che potesse andare incontro ad orecchie trasversali, i Green Day hanno influenzato tantissimo tutta una generazione di musicisti più giovani di loro. Ad esempio i Blink-182 con What’s My Age Again: quel singolo è quello che li ha fatti esplodere e credo non sarebbe esistito senza Basket Case o senza When I Come Around. Anche il fatto della formazione a tre, il power trio in cui uno canta e suona, una sola chitarra, un solo basso, anche in quello i Blink sono abbastanza debitori di quella formula ridotta all’osso, scarna dei Green Day.”
Nella scena punk hai band da segnalarci, da tenere d’occhio? “Di gruppi ne esistono sempre e anche di ottimi e come sempre il genere è vitale, si rinnova. Io ho molti ascolti nell’underground, tutti quei gruppi che non fanno né grandi numeri in termini di ascolti e visualizzazioni, che però spaccano. Per la vitalità della scena è sufficiente guardare al Punk Rock Raduno di Bergamo che si svolge ogni estate: lì ci sono tutti i gruppi che derivano direttamente da Ramones, Green Day, NOFX, Rancid, da tutto quel punk che ha dentro tanta melodia e sonorità veloci, elettriche ma non troppo aggressive. Un paio di gruppi italiani che in questo momento apprezzo molto sono i Giuda, gruppo molto valido e potente di Roma, mentre per quanto riguarda i gruppi direttamente legati al pop punk ci sono veramente moltissime band: una totalmente debitrice dei Ramones sono i The Manges di La Spezia, hanno trent’anni di carriera alle spalle e sono il più rispettato dei gruppi punk rock dell’underground italiano. Potrei citare anche The Interrupters, che hanno fatto dei singoli molto di successo, magari non con i numeri che avrebbero avuto i gruppi degli anni ’90 ma comunque con un bellissimo seguito”.
Il punk dunque non è morto, anzi, se c’è un genere del rock che si presta alle influenze e al rinnovo è proprio questo. Inoltre non c’è genere musicale migliore per incanalare la rabbia, soprattutto quella adolescenziale, e ci saranno sempre adolescenti arrabbiati col mondo e che vorranno gridarlo attraverso brani come American Idiot.
FOTO DI COPERTINA/Caribe Focus