“L’erba del vicino è sempre più verde”, recita un vecchio detto…ma siamo sicuri che quel verde non sia solo un prato sintetico? In un’epoca storica in cui si parla ovunque di “green” la domanda è lecita e, con le autovetture come oggetto d’esame, la società finanziaria Unipol ha deciso di provare a dare una risposta. Chi guarda all’elettrico perché “più verde” delle termiche è sicuro che non si tratti solo di un abbaglio sintetico?
La società finanziaria è andata infatti ad analizzare e confrontare le “soluzioni green” rappresentate dalle zone 30 e dall’Euro 6. L’ha fatto con un’indagine, svolta in collaborazione con il Politecnico di Milano, su un campione di 3.000 veicoli immatricolati sul territorio italiano. Veicoli divisibili in egual misura in 3 categorie diverse in base al loro motore: Euro 4, Euro 5 ed Euro 6. L’indagine ha mostrato una medaglia green a due facce. Dai dati è infatti emerso che, nella media, le emissioni totali effettive per anno di CO2 degli Euro 4 sono superiori di circa il 20% rispetto a quelle medie degli Euro 6: il motore più vecchio inquina più di quello nuovo, tutto secondo previsioni.
Prendendo però in esame i consumi effettivi di quegli stessi veicoli, i dati dicono altro: il 26% dei veicoli Euro 4 emette meno CO2 rispetto ad altrettanti veicoli Euro 6. Se questo può sorprendere, lascia allora di stucco un ulteriore dato: un veicolo Euro 6 “ad alte emissioni” produce fino a 6 volte la CO2 di un veicolo Euro 4 a “basse emissioni” e, restringendo il campo d’esame al contesto urbano, il rapporto tra le emissioni ammonta a 10. In soldoni: alcuni motori “più antichi” in determinate condizioni e contesti inquinano sensibilmente meno rispetto ai propulsori più recenti. La classe Euro di appartenenza dei veicoli non è dunque sufficiente per classificare le loro emissioni.
La CO2 emessa globalmente in un anno da un’auto è molto più legata al comportamento nell’utilizzo di un’auto (quindi al numero di chilometri, le strade percorse, la velocità, lo stile di guida) che alla classe di appartenenza
Una proposta di studio alternativa è quella presentata a Bruxelles, nella sede del Parlamento europeo, dal think tank The Urban Mobility Council. “La CO2 emessa globalmente in un anno da un’auto è molto più legata al comportamento nell’utilizzo di un’auto (quindi al numero di chilometri, le strade percorse, la velocità, lo stile di guida) che alla classe di appartenenza”, spiega il prof. Sergio Savaresi, Direttore del Dipartimento Elettronica Informazione e Bioingegneria del Politecnico di Milano
Il think tank propone un modello innovativo, non più basato su medie di dati raccolti su campioni di veicoli ma sull’analisi di dati reali emersi dal singolo veicolo, poi utilizzati per determinarne l’effettivo impatto ambientale. Questo nuovo approccio prevede l’utilizzo di scatole nere telematiche, che diventerebbero così green box: semplici dispositivi elettronici in grado di registrare dati come la frequenza d’uso e lo stile di guida di una determinata vettura.
Se questa è ancora soltanto una suggestione, passi reali verso una mobilità sostenibile continuano ad essere percorsi. Uno degli ultimi consiste nell’introduzione in alcune città italiane del limite di velocità dei 30 km/h. È un passo nella direzione corretta? Una prima risposta prova a darla l’indagine di Unipol, basata su interviste realizzate sul territorio nazionale tra il 15 e il 21 febbraio 2023, su un campione di popolazione di età 16-74 anni. Dall’esame dei dati, la suggestione di una «città a 30 km/h» risulta molto divisiva. Se associazioni che riuniscono gli utenti deboli della strada, come la F.I.A.B., ne sostengono la necessità, constatando come una riduzione della velocità massima delle auto riduca del 65% il rischio di morte per un pedone investito, diversa è l’opinione di numerosi cittadini: se il 50% dei milanesi, per esempio, vedono nell’attuazione dell’ipotesi proposta più problemi e inquinamento che non benefici; la maggioranza degli intervistati è risultata comunque favorevole.
Se sul piano nazionale solo Olbia e Bologna sono “città 30”, la stessa politica viene attuata da numerosi altri comuni, su un piano più ristretto, tramite l’instaurazione delle “zone 30”. Questa linea è quella seguita anche dalla città di Cremona nelle zone del nucleo storico, del quartiere Castello e del quartiere Po.