
Il tempo scorre, il mondo cambia, inevitabilmente ci troviamo costretti a far fronte a novità, a cambiare punto di vista, ad affrontare una realtà in evoluzione. Con il progresso tecnologico la nostra vita si è fatta sempre più facile: tutto è alla portata di un click. Le persone sono state costrette ad aggiornare le loro vecchie abitudini, che spesso sono state sostituite da nuove opportunità. Ma cosa ha comportato questo enorme cambiamento?

Si sono aperte nuove porte, scoperti nuovi ambiti da esplorare, ma si sono anche messi a rischio alcuni settori e attività tradizionali. Molti lavoratori, soprattutto coloro che hanno nelle mani e nell’ingegno il loro strumento principale, hanno dovuto cambiare prospettiva e si sono dovuti reinventare per continuare a praticare il loro lavoro, ormai quasi completamente sostituito dalle tecnologie in perfezionamento. Molti hanno mollato. Alcuni hanno seguito l’onda dell’industrializzazione, altri hanno deciso di portare avanti la tradizione manuale.
In un angolo della città, dove il tempo sembra rallentare, rimane ancora una piccola bottega. Dietro la semplice vetrina, l’arte prende vita sotto mani abili e sapienti. L’odore del cuoio lavorato riempie l’aria, intrecciandosi al ritmico suono degli utensili che sovrastano il ronzio distante delle macchine. Le pareti, sotterrate da ricordi e progetti, racchiudono un mondo sospeso tra passato e futuro. Il tempo non scorre, si stratifica: ogni foto, ogni frammento annotato, ogni gesto racconta una storia che si ostina a sopravvivere, sotto il peso silenzioso di un mondo freneticamente in movimento.

“Anche io potevo scegliere di fare la mia fabbrichettina e senz’altro avrei avuto più soldi, però magari sarei già morto per lo stress, la tensione, i debiti. Io ho trovato un buco libero e ho detto: faccio quello”.
“Anche io potevo scegliere di fare la mia fabbrichettina e senz’altro avrei avuto più soldi, però magari sarei già morto per lo stress, la tensione, i debiti. Io ho trovato un buco libero e ho detto: faccio quello”. Con queste parole Massimo Dosi, proprietario del negozio “Il Cuoio” in via Cadore a Cremona e artigiano di lunga esperienza, spiega la filosofia che l’ha guidato in una vita fatta di scelte autentiche e passione per il suo lavoro, incontrato un po’ per caso quando da ragazzo indossava la divisa: “Ero a militare e non avevo prospettive, intanto un mio amico coetaneo mi ha fatto una proposta: proviamo a lavorare il cuoio”. Così, nel gennaio del 1983, iniziava il percorso di Massimo con una proposta che gli rimescolò le carte e lo rimise in gioco.
Con studi di elettronica alle spalle e l’assenza di internet, le fonti di insegnamento potevano essere soltanto i libri, che non avevano trovato qua, ma a New York: “La Tandy Leather Company era una ditta che ti permetteva di fare figure sul cuoio che noi neanche immaginavamo, qui non c’era quella tradizione lì, c’erano il calzolaio e il sellaio. Avevo anche qualche esempio davanti, c’era la coppia dei Vitulano di Treviglio, loro erano dei maghi. Mi aveva impressionato la qualità delle cose che facevano loro, volevo lavorare anche io così”.


Cominciarono quindi a lavorare, partendo da pezzi più facili come le cinture. Dopo aver preso coraggio e aver visto che in paese, a Sesto, l’attività funzionava e i loro prodotti vendevano, lui e il suo socio Maurizio Ruffini, attuale proprietario della falegnameria Ruffini e Consoli a Castelverde, decisero dopo quattro anni di spostarsi in città. “Quando siamo venuti qua io ho fatto qualche sciocchezza e volevo lasciare tutto al mio socio e andare via. Lui però mi rispose che aveva parlato con suo fratello e che se ne andava lui, per fare il falegname. Io non ci credevo: sto per mollare la ditta e alla fine me la ritrovo tutta!”.
“Ho le mani, ho imparato a usare le mani, vado avanti ad usare le mani. Non mi arricchirò? Non importa, il mio lavoro mi ha dato una marea di soddisfazioni”
Porte scorrevoli che indirizzano vite. Massimo continuò a lavorare specializzandosi nel lavoro manuale, facendo su misura i prodotti che le persone richiedevano e richiedono tutt’ora. “Ho le mani, Ho imparato a usare le mani, vado avanti ad usare le mani. Non mi arricchirò? Non importa, il mio lavoro mi ha dato una marea di soddisfazioni. Io ho introdotto una novità, se vai in un negozio compri quello che c’è lì, io se ci capiamo te lo posso fare come vuoi”. Vedere le cose, tirare fuori oggetti da semplici pezzi di pelle e i riscontri positivi dei clienti: tutte cose che gli davano e danno anche oggi molta gratificazione.
Massimo ha sempre aperto le sue porte a coloro che volevano imparare il mestiere: “Tanta gente non insegna, questa è la mentalità che io avevo sempre trovato. Io invece ho avuto cento, duecento allievi in quarant’anni: c’era molto interesse. Poi il lavoro decolla in base a come si comportano i prodotti, la gente tornava da me perché la roba durava tanto. Mi hanno cercato anche delle cooperative, come La Casa della Speranza di Borgo Loreto, ne ho formati due tre che fanno tuttora i lavori dopo un paio di anni”.


Il prossimo anno, dopo più di quaranta di attività, Massimo chiuderà il negozio con un senso di rassegnazione verso il futuro dell’artigianato: “Vedo molto nero, non vedo una possibilità di rilancio”. Il problema secondo Massimo non è solo economico, anche se mantenere un’attività artigianale oggi è sempre più difficile, ma anche culturale. Pochi delle nuove generazioni sono disposti ad imparare, a metterci del proprio, ad avere quella scintilla di inventiva necessaria, a intraprendere un lavoro che, per quanto impegnativo, può dare enormi soddisfazioni. Si preferisce evitare il problema, piuttosto che affrontarne le difficoltà. A questo si aggiunge un malinteso molto diffuso: la credenza che un prodotto valga solo se porta una firma nota, quando invece l’attività artigianale non ha bisogno di etichette per dimostrare il proprio valore.

Massimo non sa come si potrebbe invertire questa tendenza, forse perché nemmeno esiste una vera soluzione. Non si sente un artista, ma ogni giorno cerca di migliorarsi, alternando lavori meccanici ad altri più ricercati. Perché nell’artigianato, come nella vita, ci vuole dedizione, impegno e voglia di crescere. Se manca questo, il mestiere si spegne e con lui un intero patrimonio di saperi.