Di lei si parla come di una promessa, il suo medagliere è già ben nutrito, ma il sogno è quello delle Olimpiadi: Giulia Bentivoglio, classe 2005, entrata quest’estate nelle Fiamme Azzurre (gruppo sportivo del Corpo di Polizia Penitenziaria), si può considerare una vera e propria eccellenza cremonese. La sua passione per la canoa è nata quando aveva circa otto anni, grazie alla sua migliore amica che praticava già questo sport. “Mi ha invitata a provare“, racconta, “e da lì è iniziato tutto. Sono ormai più di dieci anni che la pratico“.
Per lei la canoa ha rappresentato una sfida personale: “Mi intrigava più di altri sport perché mi dava la possibilità di mettermi alla prova con me stessa. È uno sport individuale, sei tu da sola sulla tua canoa“. Giulia ricorda un momento particolarmente difficile quando ha iniziato a passare dalla categoria giovanile a quella agonistica. “Volevo smettere”, ammette, “perché, nonostante lo consideri uno sport bellissimo, allo stesso tempo richiede grande sforzo e passione. D’inverno ti alleni con qualsiasi condizione meteo, hai freddo, le mani congelate, e d’estate con 30 gradi è un altro grande sforzo“. Un momento di “crisi” come può accadere a tanti giovani atleti quando l’agonismo sfiora lo stress, ma il supporto dell’allenatore e della famiglia è stato determinante per farla continuare.
Hai un modello a cui ti ispiri? “Ti direi Lisa Carrington, è un atleta neozelandese, la considero una grande campionessa, da bambina la guardavo e volevo diventare come lei“, ci racconta Giulia, che trova ispirazione anche nelle persone più vicine a lei, come la famiglia, la migliore amica e l’allenatore.
Quest’estate la canoista cremonese è entrata nelle Fiamme Azzurre, realizzando un sogno che coltivava fin da bambina. Spiega che il processo di selezione è stato tramite concorso pubblico, basato sui titoli sportivi ottenuti. “Per il concorso poi ho dovuto fare anche delle visite perché guardano se sei idonea a livello fisico e mentale-psicologico. Avevo fatto una buona stagione, con medaglie ai mondiali e vittorie agli italiani, e alla fine sono riuscita a vincere il concorso“, racconta con soddisfazione. “Se non fosse andata, ci sarei rimasta molto male. Avrei cercato di vivere più il presente senza rimanere proiettata nel futuro, godendomi di più ciò che stavo facendo”.
La sua esperienza con le Fiamme Azzurre finora è stata positiva, ci descrive l’ambiente come sereno e competitivo in modo sano, sottolineando come il gruppo le lasci libertà di allenarsi a Cremona con il suo allenatore.
Parlando con Giulia si è poi evidenziato un problema che accomuna molti sport individuali, tra cui la canoa: “Il problema di tante discipline è che non avendo un supporto economico da parte di un club o di una società come accade per altri sport, sei costretto a trovare delle soluzioni per sostenerti. In pratica, o trovi una fonte di finanziamento o sei costretto a proseguire a spese tue, il che può diventare insostenibile anche per le famiglie che cercano di supportare i propri figli. Devi sempre fare altro per poter andare avanti, perché altrimenti diventa molto difficile”.
Ci sono tantissimi atleti che mettono anima e corpo nello sport, ma per mille ragioni non riescono a raggiungere il successo che meriterebbero. Le circostanze sono spesso imprevedibili e molte persone, nonostante il loro impegno, non arrivano a realizzare il sogno di una vita.
“Sarebbe utile se esistesse una sorta di sistema simile a quello dei club calcistici, creare una piccola squadra che fornisca un compenso minimo agli atleti, almeno per coprire le spese mentre si impegnano nel loro sport. Penso, per esempio, alle società come la Baldesio o le altre canottieri qui a Cremona. Queste realtà creano squadre, restando però comunque a livello amatoriale, non andando mai oltre”,spiega Giulia, che non manca comunque di lodare (e ringraziare), le società cremonesi che l’hanno aiutata nel suo percorso: “C’è da dire che le nostre realtà fanno già moltissimo: coprono molte delle spese e forniscono tutte le attrezzature. Io, quando facevo parte della Bissolati, sono stata trattata molto bene: le trasferte erano pagate, così come le attrezzature. Questo non succede ovunque, anzi, in molte società in Italia l’atleta deve comprarsi la barca, la pagaia e pagarsi viaggi e alberghi. Quindi, il supporto che offrono le società di Cremona, è davvero un punto di forza”.
Tuttavia, per fare quel “passo in più” e trasformare questo impegno in una carriera professionistica, serve una grande motivazione personale. Quando si decide di dedicarsi completamente ad uno sport, diventa un vero e proprio lavoro, con tutte le aspettative e le pressioni che ne derivano. Il vero passo in avanti, sostiene Giulia, si fa quando decidi di dare tutto te stesso. Se si continua ad allenarsi con un atteggiamento svogliato, magari saltando qualche sessione, difficilmente si raggiunge l’eccellenza. E anche se non dovessi riuscire, se si ha dato il massimo, non si avranno rimorsi, ma solo la consapevolezza di averci provato fino in fondo. Se poi un atleta si rende conto che non riesce a raggiungere un certo livello, ci sono sempre delle possibilità alternative all’interno dello sport, come ruoli tecnici o di supporto, che permettono di restare nell’ambiente e contribuire in altri modi.
Ora Giulia frequenta l’università, Scienze Motorie a Parma:. “Conciliare sport e studio è molto difficile, ma voglio evitare lo stress che ho vissuto durante le superiori, dove sentivo una pressione enorme tra allenamenti e scuola. Mi sono imposta di non ripetere quell’esperienza: se ci vorranno cinque anni anziché tre per finire l’università, andrà bene lo stesso. Ho scelto di gestirmi da sola anche dal punto di vista economico, pagandomi gli studi grazie al mio stipendio, senza gravare sulla mia famiglia”.
Un atleta, spiega Bentivoglio, non va considerato sempre e solo come uno sportivo. “È fondamentale ricordare che siamo persone con interessi oltre lo sport, e per me è importante coltivare altre passioni. Restare intrappolati esclusivamente nello sport può essere dannoso, soprattutto a livello mentale. Quest’anno, ad esempio, mi sono trovata spesso a fare i conti con momenti difficili perché non riuscivo a ritagliarmi del tempo per altro”. Lo sfogo del “sabato sera” non è necessariamente proibito se utilizzato nella maniera corretta, ma anzi va a beneficio della salute mentale dell’atleta. “Uno degli insegnamenti che ho tratto, anche ascoltando interviste di altri atleti come Giacomo Gentili, è che bisogna dare il massimo in allenamento, ma poi è altrettanto importante staccare. Bisogna trovare il giusto equilibrio: in allenamento ci si concentra al 100%, ma finito l’allenamento è fondamentale svagarsi, fare altro, che sia studio, shopping o uscire con gli amici”.
L’obiettivo del futuro? “Essere felice ed innamorarmi ogni giorno di quello che faccio e, per quanto riguarda il periodo post atleta, rimanere sempre nell’ambiente sportivo”.