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di CARLO ALBERTO CHIAVEGATO - Produzione nazionale in calo, concorrenza estera in aumento, diminuzione del numero di alveari a causa di una lunga serie di fattore: il "mondo api" è in sofferenza, sia dal punto di vista ambientale che da quello economico. Il viaggio de L'Ora Buca nei numeri e nelle ragioni dell'emergenza.

Api e miele, di castagno, arancio o millefiori: a sentir parlare di miele viene subito il languorino, ma degustare il frutto del lavoro dell’alveare potrebbe accadere sempre meno, soprattutto perché il settore dell’apicoltura vive da tempo un’emergenza. Una cosa certa, che ci è stata insegnata sin da piccoli è che il cucchiaino di miele aiuta per il mal di gola…ma se la situazione non dovesse migliorare potrebbe diventare addirittura più economico e maggiormente accessibile uno sciroppo chimico.


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Un paradosso, è vero, ma da non sottovalutare, le cui cause sembrerebbero principalmente legate all’inquinamento: dice Focus che “le api che vivono in zone dove l’inquinamento dell’aria è più alto mostrano evidenti segni di sofferenza: sono più pigre, stressate e a rischio di malattie”. La rivista scientifica scava a fondo e approfondisce l’argomento chiarendo che “i risultati non sono rassicuranti. Innanzi tutto, gli scienziati hanno verificato che più un’area è inquinata, più è bassa la concentrazione di api  – e di conseguenza le piante locali hanno meno impollinatori a disposizione. Inoltre, le api recuperate in queste zone dimostravano evidenti segni di sofferenza: un sistema immunitario più debole, segni di aritmia cardiaca e stress, tracce di arsenico e piombo sul corpo, aspettativa di vita più bassa della norma. Gli autori spiegano che bisogna prendere i dati con prudenza, perché non è facile separare l’effetto diretto dell’inquinamento atmosferico da altri potenziali problemi di salute non ancora identificati; ma anche che hanno ripetuto l’esperimento usando questa volta i moscerini della frutta, e hanno ottenuto risultati simili”.

Per rendere maggiormente limpido il problema si possono mettere in tavolo i dati forniti anche da ISPRA, Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca dell’Ambiente, che afferma come “più del 40% delle specie di invertebrati, in particolare api e farfalle, che garantiscono l’impollinazione, rischiano di scomparire; in particolare in Europa il 9,2% delle specie di api europee sono attualmente minacciate di estinzione (IUCN, 2015). Senza di esse molte specie di piante si estinguerebbero e gli attuali livelli di produttività potrebbero essere mantenuti solamente ad altissimi costi attraverso l’impollinazione artificiale. Le api domestiche e selvatiche sono responsabili di circa il 70% dell’impollinazione di tutte le specie vegetali viventi sul pianeta e garantiscono circa il 35% della produzione globale di cibo”. Se questa è la ragione principale, va assolutamente approfondito anche l’effetto, ossia il lato economico, che in questo caso gioca un ruolo fondamentale.

IsmeaMercati, utile strumento per approfondire la conoscenza dei mercati agroalimentari, tratteggia una situazione di “consumi stagnanti e domanda sempre più debole. Anche nei primi cinque mesi del 2024 gli acquisti in volume continuano a ridursi su base annua perdendo un ulteriore 4,7%, che va ad addizionarsi al -4,3% del 2023. A scendere per la prima volta è anche la spesa, con una perdita di valore del 5,7% frutto del sovrapporsi alle flessioni di volume e di una flessione del prezzo medio su cui pesa una maggior pressione promozionale“. Si ha quindi una pesante flessione della domanda che va a gravare molto sul prezzo, che inoltre sta diminuendo per la forte concorrenza presente nel settore.

C’è una pesante flessione della domanda. Il prezzo va inoltre diminuendo per la forte concorrenza nel settore: circa un quarto del mercato globale del miele è infatti detenuto dalla Cina

Circa un quarto del mercato globale del miele è infatti detenuto dalla Cina, produttore fenomenale che sta acquisendo sempre più spazio non solo in un mercato relativamente di nicchia come quello del miele, ma in quasi tutti gli ambiti della produzione. La concorrenza della Cina, che a molti pare sleale, danneggia soprattutto i produttori locali italiani: basti pensare che le aziende nell’apicoltura sono a prevalenza composte da un individuo. Per capire meglio è sufficiente guardare i dati della Coldiretti: “Il tessuto imprenditoriale del settore dell’apicoltura italiana è formato per la stragrande maggioranza da ditte individuali: circa nove imprese apistiche su dieci, il 91,5% circa del settore, infatti, sono imprese con forma giuridica individuale. Il restante 8,5%, invece, si divide tra le società di persone (6,3%), le società di capitali (1,9%) e le altre forme societarie (0,3%). Dal punto occupazionale circa nove imprese apistiche su dieci (90,2%) impiegano meno di due dipendenti, il 9% da due a cinque lavoratori, mentre solo il restante 0,8% impiega più di sei dipendenti“.

Per fronteggiare la concorrenza cinese, centinaia di apicoltori hanno manifestato a marzo scorso davanti ai vari palazzi del potere. I produttori italiani, tramite sit-in rumorosi come un alveare, si sono lamentati soprattutto della concorrenza extra-Ue, con prodotti a rischio di adulterazione e non conformi agli standard qualitativi e di sicurezza alimentare. Alla protesta hanno partecipato diverse associazioni con un totale complessivo di 1.000 apicoltori scesi in piazza. Riccardo Babini, Il portavoce di Miele in cooperativa, una delle associazioni che ha partecipato alla protesta, ha spiegato all’Ansa che la manifestazione aveva “lo scopo di conquistare l’indispensabile consenso, morale e sostanziale, alla nostra azione di richiesta di avviare le procedure antidumping (una pratica per cui le grandi imprese introducono nel mercato europeo dei prodotti a un prezzo molto inferiore rispetto a quello di mercato. Questo prezzo artificioso è dovuto alla presenza di sussidi statali alle imprese nel paese di origine, oppure alla sovrapproduzione di un determinato prodotto da parte delle aziende che vendono all’estero tali beni in eccedenza. ndr) in Europa contro il miele cinese e sensibilizzare i consumatori verso un acquisto consapevole del miele“. 



Gli apicoltori, per avvalorare ulteriormente le ragioni della loro protesta, segnalano una recente indagine condotta dalla Commissione europea che ha analizzato una parte dei campioni di miele importato, rilevando che nel 46% dei casi il prodotto non rispetta le normative dell’UE. Questo è dovuto all’uso di sciroppi zuccherini che modificano il miele, aumentandone la quantità per ridurne il costo, e all’aggiunta di additivi e coloranti per mascherare la reale origine botanica. La maggior parte di questi prodotti, denuncia ancora l’indagine, deriva tra l’altro dalla Cina (circa il 76% dei campioni esaminati).

Apicoltori a Roma durante la protesta a marzo. Fonte: ANSA

Se nei numeri e nella tendenza di medio termine la situazione del settore preoccupa, ci sono anche dei segnali incoraggianti, come quello della sempre più diffusa presenza dei giovani che si dedicano alla produzione di miele. Spiega infatti Coldiretti che “se ci si concentra sull’anzianità aziendale, quella che emerge è l’istantanea di un settore tendenzialmente giovane e in costante crescita sotto il profilo demografico. Infatti, poco meno di due terzi, Il 65,2% circa delle aziende apistiche del settore, risulta costituito nell’ultimo decennio (il 19,8% dal 2011 al 2015 e il 45,4% dal 2016 ad oggi). In particolare, è interessante il numero di nuove imprese che sono nate negli ultimi quattro anni, con una variazione del 44,3% circa tra il 2018 a oggi“.

Si può poi leggere come positivo il dato secondo cui “l’Europa ha un grado di autosufficienza del 60%”, come riporta il Parlamento Europeo, “Necessita pertanto di importare prodotto per soddisfare le esigenze di consumo interno“. Pertanto c’è una fascia di mercato riservata all’importazione che potrebbe sempre essere coperta invece dai nostri apicoltori. L’aumento della produttività e una maggiore attenzione delle istituzioni alla crisi sicuramente potrebbero costituire il cucchiaio di miele per guarire questo problema.