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di AURORA FAPPANI - I casi di cronaca ripetuti e ravvicinati lo hanno calato anche nella realtà di Cremona: quello delle baby gang non è più un tema metropolitano, ma riguarda anche la provincia italiana. Se ne è parlato e discusso in una animata conferenza in Sala Eventi di Spazio Comune.

Un fenomeno in espansione, che cambia forma ma resta radicato in una crescente fragilità educativa e relazionale: questo il ritratto della devianza giovanile tracciato dalla docente universitaria, psicologa e criminologa Susanna Petrassi durante la conferenza che si è svolta l’11 aprile presso la sala eventi di SpazioComune. Al centro dell’intervento il delicato tema delle baby gang, realtà sempre più diffuse nei contesti urbani italiani, anche in quelli di provincia, che riflettono una trasformazione profonda nel comportamento dei giovani.



Un incontro ricco di spunti e anche di accesi momenti di confronto tra i relatori (con la dott. ssa Petrassi anche il Primo Capitano Antonino di Mora, Presidente UNUCI di Cremona) e il numeroso pubblico in sala; un momento che ha cercato di indagare le cause profonde del disagio giovanile attraverso una lente psicologica e sociale, lanciando un monito chiaro: affrontare il problema delle baby gang significa prima di tutto interrogarsi su ciò che adulti, istituzioni e comunità stanno trasmettendo alle nuove generazioni.

La dott. ssa Susanna Petrassi e Antonino Di Mora (Presidente Unuci di Cremona)

La violenza tra adolescenti non nasce all’improvviso” – ha spiegato la relatrice – “ma si sviluppa gradualmente, spesso a partire da atti che vengono sottovalutati, come gli scherzi”. E proprio su questa distinzione la professoressa ha insistito a lungo: lo scherzo può divertire anche chi lo subisce, è un episodio isolato e privo di intenzioni offensive; il bullismo, invece, è un’azione sistematica, reiterata nel tempo e capace di lasciare segni profondi nelle vittime.  Secondo la criminologa, negli ultimi ani il profilo del bullo è cambiato: se in passato si trattava di una figura isolata all’interno di una classe, oggi si parla di gruppi di bulli, spesso guidati da un leader, in cui i singoli si sentono forti grazie all’appartenenza al branco.

Da qui alla formazione di vere e proprie baby gang il passo può essere breve, soprattutto nei contesti in cui mancano punti di riferimento educativi chiari e strutturati. “Non tutti i ragazzi reagiscono allo stesso modo: c’è chi riesce a rafforzarsi, ma c’è anche chi resta segnato per anni. La sofferenza psichica spesso si nasconde dietro atteggiamenti aggressivi o di chiusura”. Ne deriva l’appello a un maggior coinvolgimento della scuola, che deve sapersi porre come ambiente formativo e non solo didattico, e alla famiglia, chiamata a un ruolo educativo più attento e meno permissivo. “Spesso” – ha spiegato Petrassi – “i genitori tendono a giustificare tutto, evitando il conflitto e rinunciando a educare”.

La violenza tra adolescenti si sviluppa gradualmente, spesso a partire da atti che vengono sottovalutati

Ampio spazio è stato poi dedicato al tema dell’influenza culturale, con un’analisi della diffusione della musica rap come veicolo di modelli comportamentali improntati alla violenza, alla sfida dell’autorità e all’esaltazione del potere materiale. “Il rap è nato negli Stati Uniti come grido di protesta sociale, ma nella sua evoluzione ha spesso trasmesso messaggi fuorvianti, incentrati sull’apparenza, sulla ricchezza ostentata, sul dominio sugli altri. Questi contenuti, passando poi dalla Francia all’Italia, hanno raggiunto anche le periferie romane, influenzando l’immaginario giovanile”. 

Il pubblico presente alla conferenza nella Sala Eventi di Spazio Comune

Interessante anche la riflessione sul valore dei legami: la relatrice ha messo a confronto le baby gang con la struttura della famiglia mafiosa, sottolineando come quest’ultima, pur nella sua criminalità, sia un sistema coeso, con regole, rispetto per l’autorità e una forma di solidarietà interna. Le gang giovanili, invece, sono spesso gruppi effimeri, che si formano e si dissolvono con facilità, privi di una reale coesione o progettualità. “Il branco è una compagnia momentanea, non una comunità: nasce dalla necessità di sentirsi forti insieme, ma si disgrega alla prima difficoltà”. Infine un accenno anche alla frammentazione dei valori: i giovani di oggi, secondo la psicologa, “non invidiano l’essere, cioè le qualità personali, ma solo il possesso di oggetti e status”. Questo porta a una competizione sterile e aggressiva, dove contano solo i beni materiali e l’apparenza.

Il branco nasce dalla necessità di sentirsi forti insieme, ma si disgrega alla prima difficoltà